«Queste giornate saranno una salutare scossa a vincere ogni tiepidezza o resistenza davanti a un problema che si impone per serietà, urgenza e gravità». Monsignor Stefano Russo è segretario generale della Cei dalla fine di settembre. Per la prima volta parla di ciò che intende fare la Chiesa italiana nel prossimo futuro: una ricerca affidata a un’università per capire finalmente le dimensioni del fenomeno degli abusi in Italia, e un’«ampia consultazione» tra i vescovi sull’obbligo di denuncia alle autorità civili.
Eccellenza, che cosa si aspetta la Chiesa italiana da questo incontro?
«Papa Francesco ci sprona a fare i conti con il passato, a chiedere perdono per le colpe commesse e ad impegnarci a fondo per superare ogni condizione che permetta lo sviluppo dell’ abuso. Dell’ incontro mi convince anche il metodo sinodale: dal confronto alla risposta concorde».
Avete statistiche attendibili circa i casi di abusi su minori compiuti da sacerdoti?
«Dati precisi no, anche se le situazioni di abuso finora riscontrate sono motivo di preoccupazione fondata. Non mi riferisco soltanto all’abuso sessuale in quanto tale, ma all’abuso di potere e di coscienza, esercitato da preti che interpretano il loro ministero non come un servizio, ma come un potere».
Padre Hans Zollner, presidente del Centro di protezione dei minori dell’ Università Gregoriana e tra gli organizzatori dell’ incontro, diceva al «Corriere» che la Chiesa italiana dovrebbe fare come quella tedesca, che ha compiuto una ricerca durata tre anni in tutti gli archivi, altrimenti si troverà a dover rincorrere lo scandalo.
«Stiamo pensando a nostra volta di affidare a un’ università una ricerca a tutto campo, che restituisca le dimensioni del fenomeno nella Chiesa come negli altri ambiti della società. Attorno a questa tematica oggi si gioca la nostra credibilità: non ci sarà riforma, senza una piena fedeltà all’esperienza liberante del Vangelo: ne sono testimoni generazioni di santi educatori, di cui il Paese intero può a ragione andare fiero».
Rispondendo alla richiesta di Benedetto XVI, la Cei ha pubblicato nel 2012 e poi nel 2014 delle linee guida contro gli abusi: perché ne state preparando una nuova versione?
«L’ intento è quello di contribuire a una cultura diffusa, che abbia a cuore la protezione del minore. Le linee guida del 2014 sono focalizzate su procedure giuridiche con cui affrontare i casi di abuso sessuale compiuti da chierici. Oggi c’ è la volontà di non fermarsi alla reazione, per puntare alla prevenzione, coinvolgendo competenze diverse e mettendo a punto procedure chiare. Conoscere a fondo le cause e le circostanze che favoriscono l’ abuso, esigere una selezione rigorosa dei candidati al ministero, coinvolgere l’ intera comunità in processi di informazione e formazione: sono tasselli di un’ azione che non consente ulteriori ritardi».
La Cei ha sempre ripetuto che un vescovo in Italia «non ha l’ obbligo giuridico» di denunciare alle autorità civili un prete pedofilo. Per quale ragione non si dà da sé un tale obbligo?
«La collaborazione attiva con le autorità è necessaria per prendere di petto il problema degli abusi sui minori: va fatta secondo verità e giustizia superando ogni atteggiamento di chiusura o nascondimento, altamente lesivo per la credibilità della Chiesa. Per questo, a mio parere, una volta valutata la verosimiglianza di una notizia di reato, occorrerebbe segnalarla all’ autorità competente, nel rispetto della legge civile e della privacy della vittima e dei suoi familiari. Anche su questo nei prossimi mesi ci sarà un’ ampia consultazione tra i vescovi». Avete istituito un Servizio nazionale per la tutela dei minori: non vi figura alcuna vittima.
Perché? Contate di ascoltarle?
«Le finalità del Servizio sono legate soprattutto ad assicurare un supporto al territorio, a partire dalle diocesi, con l’ offerta di proposte che sollecitino e aiutino la costituzione in loco di referenti – uomini e donne – attenti a promuovere ambienti sani e sicuri. Diversi membri del Servizio, comunque, sono da anni impegnati nell’ascolto e nell’accompagnamento delle vittime».
C’è stato un tempo, lo diceva lo stesso papa Ratzinger, in cui si insabbiavano i crimini con l’ idea di «difendere l’ istituzione». Che cosa è mancato finora e cosa dovrà cambiare?
«Ogni volta che si è preferito occultare – illudendosi, ad esempio, che bastasse cambiare destinazione al colpevole – si è favorito il radicamento di questo reato. In questo modo, inoltre, si è contribuito a ferire ulteriormente le vittime, che si sono viste privare di ogni giustizia. Vanno recuperate responsabilità, capacità di chiamare le cose per nome e trasparenza».
(Gian Guido Vecchi)