«Su abusi e minori la Chiesa italiana, in modo compatto e convinto, ha voltato pagina. E ora stiamo facendo davvero tutto il possibile per contrastare un fenomeno odioso e intollerabile. Ci sono già alcuni episodi concreti di collaborazione tra diocesi e autorità giudiziaria». Non ci sta l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale tutela minori della Cei, ad accettare semplificazioni e approssimazioni come quelle pubblicate nei giorni scorsi nell’inchiesta dal Fatto Quotidiano dove, al di là di episodi pur reali ma presentati in modo scandalistico e suggestivo, vengono riportati dati senza fondamento. Anche perché derivanti da un’unica fonte che non può disporre di statistiche di cui né la stessa Chiesa né l’autorità giudiziaria sono in possesso.
Ma l’aspetto più sgradevole è il silenzio assoluto su quello che la Chiesa italiana ha messo in campo per affrontare e, per quanto possibile, sradicare il problema da comunità, parrocchie, seminari, oratori. «Quando nell’assemblea generale dei vescovi in maggio abbiamo votato la nuove linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, abbiamo ottenuto un risultato a larghissima maggioranza, come non avviene frequentemente. Segno che la volontà di opporsi agli abusi è davvero condivisa e che l’episcopato italiano vuole andare avanti, insieme, senza incertezze, con tutti gli strumenti a disposizione».
I fondamenti dell’impegno della Chiesa italiana
Come funziona e come è strutturata quindi la macchina anti-abusi avviata dalla Chiesa italiana? Innanzi tutto cambia completamente, anzi è rovesciato, il principio di fondo. Mentre le linee guida del 2014 avevano soprattutto carattere giuridico, con l’obiettivo di individuare le strategie più opportune per perseguire i responsabili di abusi, quelle votate a maggio assumono in modo esplicito e convinto lo sguardo del minore. «Ci schieriamo a tutela dei piccoli e delle persone vulnerabili e non in difesa dei nostri preti e delle nostre istituzioni. Non è un cambio di prospettiva da poco», osserva ancora Ghizzoni. Non c’è solo la volontà di accogliere, ascoltare e accompagnare chi decide di fare una segnalazione, una denuncia o soltanto chiedere informazioni, ma c’è soprattutto l’impegno morale di denunciare. «Quando i fatti di cui i vescovi o i loro incaricati vengono a conoscenza appaiono credibili e circostanziati – riprende l’arcivescovo di Ravenna-Cervia – c’è l’obbligo morale dell’esposto all’autorità giudiziaria oppure di dare sostegno alla persona danneggiata che intende fare denuncia. E anche questo è un fatto notevolissimo». Non si tratta solo di un caso ipotetico. Dopo la pubblicazione delle Linee guida ci sono già stati alcuni episodi di positiva collaborazione tra vescovi e autorità giudiziaria con il rinvio a giudizio dei presunti colpevoli.
Una rete diffusa a livello regionale e diocesano
Si sta completando la rete delle strutture e dei servizi operativi previsti dalle Linee guida del 2019. La struttura regionale, con un vescovo responsabile per ogni conferenza episcopale regionale e uno o più collaboratori regionali, è ormai completata. Ci sono già stati alcuni incontri in cui è stato varato un programma di interventi e un piano di formazione. Al vescovo responsabile a livello regionale fanno capo i referenti diocesani per il "Servizio tutela". A tutt’oggi sono cento – su un totale di 226 – le diocesi che hanno scelto e nominato questi responsabili.
Le regioni ecclesiastiche più virtuose sono l’Emilia Romagna, il Triveneto, la Toscana, la Campania e la Sicilia. Il loro ruolo è importantissimo perché, nella propria diocesi o nei gruppi di diocesi che hanno deciso di consorziarsi – per esempio in Umbria e Basilicata –, devono organizzare i progetti di prevenzione, formazione e informazione coinvolgendo genitori, operatori pastorali, educatori, insegnanti, allenatori sportivi delle realtà diocesane e chiunque altro sia interessato al problema. Le indicazioni di papa Francesco sono chiare: «L’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che coinvolge e che ci riguarda tutti come popolo di Dio». Chi sono i referenti diocesani? «Laici e laiche, ma anche sacerdoti, religiosi o religiose, in larga parte – riprende il presidente del Servizio tutela minori della Cei – abbiamo attinto alla rete dei Consultori familiari di ispirazione cristiana perché queste persone devono avere competenze educative, oppure teologiche o giuridiche. L’obiettivo è quello di arrivare a costituire in ogni diocesi una struttura agile e competente, con uno sportello per accogliere le segnalazioni e accompagnare le persone che chiedono aiuto». In alcune diocesi il servizio è già attivo.
Ripensare le attività con e per i ragazzi
Tra le buone prassi di prevenzione in parrocchia, cioè su tutto quello che si deve e non si deve fare, è considerata importantissima l’assunzione di una nuova e più documentata consapevolezza. «Dobbiamo ripensare le nostre attività pastorali – sottolinea ancora l’arcivescovo di Ravenna-Cervia – mettendo al primo posto la tutela dei minori. Le nostre proposte hanno, giustamente, tanti obiettivi (catechistici, liturgici, formativi) ma dobbiamo arrivare a pensare per i minori a noi affidati che custodia e vigilanza devono diventare una priorità». Da qui l’esigenza di calibrare su questi obiettivi i comportamenti degli educatori e dei catechisti, ma anche di preti, religiosi e religiose che devono creare le condizioni per un clima tutelante che scoraggi azioni di abuso sia all’interno sia dall’esterno.
Continua a leggere l'articolo su Avvenire.it